Sub Rimini Gian NeriSub Rimini Gian Neri

ANTROPOLOGIA DELLE VONGOLE di Fabio Re

(Presentazione Ioni Filippo: quelle che seguono sono delle riflessioni romantiche di un socio GN, condivisibili in gran parte, ma sicuramente utili a far riflettere… grazie Re per il tuo contributo)

Sono molteplici le vie che conducono al mondo della subacquea e credo che in Gian Neri si possa ormai affermare di aver ospitato fra le pagine del libro soci, un tale quantitativo di nomi e di storie diverse da risultare fra le più disparate e in qualche caso addirittura fra le più improbabili.

Fra i subacquei che frequentano la società vi sono sportivi, apneisti e pescatori, appassionati di biologia marina, fotografi naturalisti disposti a tutto per ottenere lo scatto perfetto, intrepidi e autolesionisti giocatori di hockey subacqueo, maniacali cultori della subacquea tecnica e delle profondità più estreme, vacanzieri spensierati, cultori della tagliatella assaporata al capanno, volontari immolati sull’altare della protezione civile, assidui frequentatori della tappa decompressiva, sperimentatori recidivi della spallonata fino ad arrivare ai più semplici amanti del sangiovese e della buona compagnia. E con questa così ampia diversità di approcci alla subacquea, chissà cosa penserebbe l’irreprensibile e integerrimo atleta Gian Neri, epico ed infaticabile profeta della salute del corpo, delle virtù dello spirito olimpico, degli ideali dello sport e della gioventù, una figura ormai quasi mitologica che oggi, suo malgrado, presta il suo nome a titolare la nostra gloriosa società, un Gian Neri inconsapevole del fatto che il suo nome sia ora accostato al variegato e colorato mondo della subacquea moderna.

Divagazioni a parte, qualsiasi siano le strade che ci abbiano condotto in Gian Neri, tutti coloro che fra di noi si sono fatti conquistare dalla passione per il mare e sono preoccupati dallo stato di salute del nostro amato Adriatico torbido come una tazza di orzobimbo, seguendo il dibattito pubblico spesso ospitato dalle pagine dei quotidiani locali e animato da coloro che vivono il mare, lo studiano e lo frequentano per i più svariati motivi, non possono non aver notato che fra i tanti temi di risalto all’ordine del giorno, in questo periodo primeggi quello della crisi delle vongole e del relativo comparto di pesca professionale.

Il tema a prima vista rischia di non stimolare più di tanto il nostro interesse quanto lo potrebbe fare un report sulla moria record di tartarughe marine Caretta caretta che ha interessato quest’ultimo anno di spiaggiamenti o le segnalazioni di avvistamenti straordinari di tursiopi a poche centinaia di metri dal porto o ancora il rinvenimento lacrimevole di una stenella striata arenata sulla battigia pochi giorni fa. Questi comuni bivalvi di evidente rilievo commerciale, che anche noi siamo più orientati ad ammirare nel risotto piuttosto che sui fondali sabbiosi che spesso visitiamo durante le immersioni riminesi, sono invece al centro di una forte tensione causata dall’inspiegata e precoce moria di intere popolazioni e dalla fatica a reggere allo sforzo di pesca prima di compiere il ciclo biologico che ne assicuri la riproduzione e la conservazione.

Mentre la normativa europea imporrebbe la pratica della cattura delle vongole, limitandola ai soli esemplari che superano la larghezza di 25 mm, garantendo così almeno potenzialmente l’effettiva possibilità di riproduzione e chiusura del ciclo di maturazione biologica prima di essere pescate, si assiste da qualche anno al progressivo deperimento degli stock presenti e dall’enorme fatica degli stessi a raggiungere la taglia minima. La scienza dal canto suo non è ancora riuscita nell’intento di stabilire eventuali cause biologiche, bioclimatiche o di natura ambientale alla fonte di questa crisi e proprio in questi giorni sembra che la commissione pesca dell’UE abbia stanziato finanziamenti per un primo e vero studio sul problema tutto italiano. La questione si è complicata ulteriormente da quando diverse voci legate al mondo della protezione ambientale hanno iniziato a porre sul tavolo l’evidente problema della legalità, o per meglio dire dell’illegalità diffusa, che ha interessato il mondo della pesca professionale in questi anni, un panorama che ha concesso alle vongolare di attuare un sovrasfruttamento sistematico delle risorse.

Un sovrasfruttamento che viene amplificato ulteriormente dalla mancanza di controlli adeguati dalle forze preposte, controlli che impongano il rispetto delle norme in una filiera che presenta molte falle a partire dalle vongolare in mare fino ai banchi del mercato. La diffusa e illecita pratica della pesca sottocosta è sotto gli occhi di tutti, una pratica largamente diffusa e impattante e ha contribuito certamente a quella sistematica “desertificazione e aratura dei fondali”, operata mediante un dragaggio sistematico e un rastrellamento costante e la conseguente devastazione di tutti i fondali e habitat riproduttivi. Dall’altra parte ci sono i vongolari e tutto il loro comparto e sociale che chiedono un allentamento della normativa di tutela e probabilmente una revisione del concetto di sostenibilità della pesca verso il basso, costretti come sono nella morsa del mercato globale e di una economia ittica che sembra divenire ormai impietosa e cinica a dispetto delle promesse della politica e di chi ha illuso tutti promettendo al mercato del consumo un mare quale risorsa inesauribile e disponibile a farsi sfruttare fino a raggiungere i ritmi più incalzanti dell’industrializzazione della pesca.

Si è ormai giunti per così dire a “raschiare il barile”? E a noi che cosa può interessare tutto ciò, interessati piuttosto a riempire i nostri logbook di avvistamenti eccezionali di grossi pelagici o a fotografare variopinti nudibranchi sugli specchietti? Dobbiamo farci carico pure delle vongole e domani forse del pesce azzurro  oppure delle calze di plastica usate nella pratica della mitilicoltura?

Il dibattito è aperto e l’unico spunto di riflessione che si vuole fornire a questo punto a noi GianNerini può essere solo quello di tentare di acquisire una coscienza superiore nella nostra esperienza subacquea. Una volta terminato di preoccuparci di pesate, appannamenti della maschera e gonfiamenti nevrotici di GAV, sistemati i nostri assetti, l’auspicio è quello di evolvere il nostro atteggiamento di turisti del mare, di visitatori passivi di una pinacoteca infinita di immagini e situazioni, di meri consumatori di emozioni, in responsabili menti pensanti, osservatori privilegiati di un mondo che abbiamo il privilegio assoluto di poter vedere da vicino conoscendolo come ospiti abituali e quindi quasi un po’ di casa.

Il mare è di tutti, delle forme di vita che lo abitano, di chi lo frequenta, dei pescatori, dei subacquei, dei bagnanti e persino di coloro che non lo hanno mai visto e non lo conoscono. Superare la coscienza di semplici fruitori di uno spettacolo naturale e divenire responsabili e attenti protagonisti della cura e della custodia di questo “pianeta nel pianeta” è fondamentale ancor di più per il punto di vista privilegiato di cui godiamo. E’ infine questo il mandato che questa rubrica si pone di portare a termine (sempre se il collegio Cardinalizio approva), ovvero quello di offrire nuovi spunti di riflessione, informazione e di evoluzione della nostra coscienza marinaresca che, se avrete avuto la costanza di leggere fino a qui, sarà già sulla buona via di crescita verso una vera e propria cultura del mare.

Fabio Re