Il Relitto della Haven (44°22’48” N, 8°41’00″E)
Sabato 14 Novembre 2015, un manipolo di “irriducibili relittari profondi” della Sub Rimini Gian Neri, in completa auto – organizzazione hanno percorso ben 420 Km, sin dalle prime luci dell’alba, per raggiungere quel di Arenzano ed effettuare una di quelle immersioni che non si dimenticano facilmente.
Il “tuffo” sul relitto della Superoiler (VLCC – Very Large Crude Carrier) Amoco Milford Haven è stato per alcuni di essi una novità, mentre altri contavano già numerose immersioni su quello che è definito il più grande relitto del Mediterraneo (se non del mondo), con i suoi 334 metri di lunghezza e la ragguardevole stazza lorda di oltre 232.000 tonnellate.
Un po’ di storia
Venuta alla ribalta delle cronache l’11 aprile 1991, data dell’incidente (giorno successivo al disastro della nave passeggeri Moby Prince collisa alla petroliera Agip Abruzzo nella rada di Livorno..), questa superpetroliera, costruita in Spagna nel 1973, fu oggetto di un analogo incidente (che però la risparmiò) nel lontano 1988, colpita da un missile iraniano durante la guerra nel Golfo Persico. Riparata a Singapore in ben due anni, intraprese un solo lungo viaggio per Genova – via Capo Buona Speranza – con un grosso carico di greggio trasportato nelle ampie stive. Arrivata a poche miglia nautiche al largo del Porto Petroli di Multedo, iniziarono le prime operazioni di scarico nell’oleodotto e poi la nave tornò in rada, in attesa di nuove disposizioni dopo il parziale scarico avvenuto. Durante un travaso di greggio da una cisterna all’altra, avvenne un’importante esplosione, che in pochi minuti innescò un furioso incendio a bordo e riversò in mare tonnellate di combustibile in fiamme. Il rogo durò per tre giorni e si contarono purtroppo ben cinque vittime fra l’equipaggio ed i tecnici a bordo, incluso il Comandante Petros Grigorakakis.
Attorno alle 13 dell’11 aprile 1991 si erano già susseguite diverse esplosioni, fra cui una enorme, che spezzò la petroliera in due tronconi; la parte prodiera si inabissò quindi su un fondale di 480 metri, persa per sempre. Grazie alle favorevoli condizioni meteo marine ed alla lungimirante intuizione dell’Ammiraglio Alati della Capitaneria di Porto di Genova, la rimanente porzione di nave fu agganciata al timone e rimorchiata in maniera eroica dal personale portuale e dai Vigili del Fuoco verso terra, al fine di favorirne lo spegnimento e la raccolta degli idrocarburi sversati. L’opinione pubblica fu allora piuttosto contrariata, dato l’enorme rischio di contaminazione incombente sulle coste liguri, ma questa scelta fu assolutamente determinante (visti a posteriori i risultati) per la pressoché totale bonifica della nave. Alle ore 10 del 14 Aprile 1991 la Milford Haven affondò definitivamente a poche miglia nautiche da Arenzano, su un fondale pianeggiante di 83 metri. Negli anni successivi, furono intraprese importanti operazioni di bonifica sulla nave, che scongiurarono un vero e proprio disastro ambientale, anche se molto probabilmente una buona parte di sostanze più pesanti o bituminose, giacciono ancora sul fondo o all’interno delle stive.
L’immersione
Il relitto della porzione maggiore della Haven, lungo oltre 250 metri, giace su un fondale di fango a -83 m, mentre la parte più alta (la tuga del castello di poppa) è raggiungibile a -33 m di profondità. È un sito dal rilevante interesse naturalistico e scientifico, poiché, ad oltre 24 anni dal suo affondamento, le impressionanti lamiere contorte dalle esplosioni e dal calore, sono quasi totalmente ricoperte di organismi viventi e circondate da nuvole di pesci bentonici e pelagici; le buie e percorribili cavità ed i locali sono invece indiscusso territorio di grossi crostacei ed enormi gronchi..
Tuttavia, il relitto, principalmente frequentato per la sua notorietà ed importanza da subacquei provenienti da tutta Europa è funestato da una serie costante di incidenti, spesso mortali, causati prevalentemente dal raggiungimento di alte profondità, errate pianificazioni, improvvisazione e non competenza.
L’immersione sul relitto è una immersione fuori curva, da considerarsi “tecnica”, affrontabile solo da subacquei molto esperti, dotati di attrezzature idonee e preparati con una accurata pianificazione.
Per affrontare questo tuffo, ci siamo confrontati per giorni, stabilendo le quote massime, i tempi di immersione, quelli di risalita e decompressione ed i consumi presunti, redigendo infine tabelle decompressive concordate e tabelle di “bailout” (letteralmente cavarsi fuori dai guai), da utilizzare in caso di problemi e relativi ritardi sui tempi e/o superamento delle quote previste. Abbiamo elaborato due zone di profondità, da affrontare con aria o miscele trimix ed un piano di decompressione con cambio gas (EAN50 a partire dai -21 m).
In particolare, il tuffo si è svolto nel migliore dei modi. Il Diving Club Haven di Arenzano, con i gentilissimi coniugi gestori Vladi e Pippo, ha fornito tutto il supporto logistico per il trasporto marittimo sul sito e l’approntamento della stazione decompressiva. Ecco però alcune testimonianze dall’immersione:
<<Il mare è liscio come l’olio e nemmeno una bava di vento ne sfiora la superficie, mentre una leggera corrente verso levante lambisce i tubolari del grosso gommone. Dopo gli accurati controlli in superficie ci tuffiamo in un blu cobalto, vedendo già – dopo pochi metri di immersione – la sinistra sagoma della nave. Con immensa meraviglia per la visibilità presente, giungiamo in poco più di un minuto sulla parte più elevata della nave, a -33 m; un breve check e poi giù, con il cuore in gola, come a tuffarsi da un palazzo di cinque piani, verso l’immenso piano di coperta. Lo spettacolo è mozzafiato; grazie alla miscela trimix siamo tutti concentrati e vigili e la nave ci appare in tutto il suo splendore, rivelando particolari mai notati. Percorrendo il lato sinistro del castello di poppa, incontriamo dapprima le sagome dei ponti esterni di manovra che furono dall’incendio fusi e piegati verso il fondo, poi una scialuppa di salvataggio, poi ancora un’infinità di portelli, finestrature che ci rivelano la presenza di alcune cernie. Proseguendo alla base dell’enorme fumaiolo verso lo specchio di poppa, ammiriamo branchi di saraghi, ombrine e dentici incuriositi (ma anche spaventati dalle nostre bolle) e distinguiamo molto bene il locale officine, un grosso boccaporto d’ispezione della timoneria e la parte terminale della poppa. Invertita la direzione, incrociamo un bel polpo mentre naviga indisturbato col suo grande bel mantello aperto ed anche un piccolo pesce luna. Poco dopo, sotto di noi, un enorme varco dalla pianta quadrata rivela l’accesso alla sala macchine. Sarebbe bellissimo entrarvi, ma non possiamo nella maniera più assoluta, per ovvie ragioni di pianificazione. Ormai ritornati al castello, diminuiamo la profondità per esplorare tutti e cinque i ponti del medesimo, effettuando qualche penetrazione all’interno dei lunghi ma agibili corridoi. Arrivati al ponte di comando, fra nuvole di Anthias, diamo un’ultima occhiata al panorama, immaginandoci quello sfortunato equipaggiodurante le fasi concitate del sinistro. Oramai abbiamo finito il nostro tempo, risaliamo sulla tuga, dove vi è una targa commemorativa. Un altro check alle tabelle ed alle bombole decompressive; siamo al trentunesimo minuto d’immersione e dobbiamo recarci alla profondità di -30 m per iniziare la decompressione.
La risalita è lunga e composta di soste intervallate da uno spazio di tre metri; con precisione osserviamo i tempi previsti dalla tabella principale che abbiamo al polso. E’ andato tutto per il verso giusto, ma non possiamo distrarci e sbagliare la delicata fase della decompressione. A -21 c’è il cambio gas; ora si deve respirare una miscela di aria arricchita al 50% di ossigeno. A -9, -6, -3 il tempo maggiore da passare; qualche sguardo presagisce l’immensa soddisfazione di tutti i componenti dell’avventura. Finalmente la superficie, altri subacquei clienti del diving club hanno terminato la propria immersione e ci aspettano a bordo. Una breve navigazione verso il porto, il lavaggio delle attrezzature, un conviviale pranzo con brindisi finale e poi il ritorno fino a Rimini, dove arriviamo in tarda serata, stanchi ma contenti>>.
Michele Stabellini