Le Triglie o Mùllidi (Mullidae), appartengono alla Famiglia di pesci Oateitti e all’ordine dei Perciformi. Per lo più diffuse nei mari tropicali, sono presenti seppur in numero minore anche in quelli più freddi. Nel Mediterraneo ed in particolare nelle acque italiane, possiamo trovarne di due specie. La triglia di fango Mullus barbatus e quella di scoglio Mullus surmuletus.
La triglia è un pesce con corpo allungato, un po’ compresso ma non eccessivamente lungo. Le sue dimensioni massime raggiungono i 25 cm circa, ha una testa di grandezza media con un muso convesso e occhi grandi posizionati molto in alto, la bocca è minuscola e protrattile, con piccoli denti che formano una superficie triturante e ruvida.
Molto caratteristici, sono i due barbigli di varie lunghezze che pendono sotto la bocca della triglia. Sul dorso sono poste a poca distanza l’una dall’altra due pinne dorsali, brevi e triangolari, delle quali la prima viene sorretta da raggi spinosi. La caudale è forcuta, l’anale contrapposta, alla seconda dorsale, è piccola, le ventrali invece sono collocate in posizione toracica e anteriormente portano una spina.
Le triglie girano nelle acque basse, sui cui fondali si spostano alla ricerca delle piccole prede di cui si nutrono, spesso avvalendosi dei barbigli con i quali esplorano il fango.
Oggi è un elemento importante per molte ricette, ma già in epoca Romana la triglia veniva pescata e apprezzata per il suo sapore e per lo splendore dei colori. Si racconta che questi animali erano pagati a peso di argento perché, oltre al palato, rallegravano anche gli occhi quando, collocati vivi in vasi di vetro ermeticamente chiusi, offrivano lo spettacolo della loro morte col cambiamento graduale del colore delle squame. «Nulla di più bello» – esclama Seneca – «di una triglia agonizzante! Il suo corpo diventa prima rosso purpureo, quasi raccogliesse le forze per difendersi contro la morte e poi sbiadisce attraverso meravigliose gradazioni…».
Di Filippo Ioni
l’articolo 2015_07_27_corriere