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Conchiglie

Se parlo in generale di conchiglie sicuramente tutti avranno un’idea del soggetto a cui mi sto riferendo. Esatto, intendo proprio quei pezzettini appuntiti che ti si infilano sotto la pianta del piede quando cammini senza ciabatte in spiaggia. O, in alternativa, quelle lamette nere che alle Piramidi rischiano ogni volta di tagliarti o rovinarti la muta se non stai attento a dove ti appoggi.

Ricordo che da piccola, quando andavo in riva al mare, avevo sviluppato una certa insofferenza verso quella linea continua e luccicante, a volte un po’ sporca, che separava la sabbia asciutta dalle onde basse in cui volevo correre a giocare, quella fascia che l’alta marea aveva depositato quasi a limitare un confine. Poi mi fermavo a guardare meglio, e in mezzo a quei depositi variegati, tra alghe verdi e marrone, qualche sassolino arrotondato, qualche muta di granchio e talvolta qualche povera medusa spiaggiata, riuscivo a distinguere una miriade di conchiglie di tantissime forme diverse, e alcune ancora intere! Non avevano dei colori particolarmente accesi, ma ormai si sa che qui da noi i piccoli molluschi conchiferi, come anche molte altre specie, non badano particolarmente a farsi belli, preferiscono invece stare cauti e adottare colori neutri, più simili alle rocce o alla sabbia del nostro fondale; potremmo definirla una forma di mimetismo criptico.

Mi ha sempre fatto strano pensare a come siano arrivate fino a li, e ancora di più pensare al processo che ha portato alla loro costruzione strato dopo strato. Eh sì, perchè anche se ad occhio non sembra, le conchiglie sono fatte di strati ben distinti tra loro e con diversa composizione. Di solito ne troviamo 3, e si chiamano: Periòstraco, lo strato più esterno, fatto di una matrice proteica detta conchiolìna, Ostraco, lo strato di mezzo, quello più spesso e resistente fatto da cristalli di carbonato di calcio, e Ipòstraco, lo strato più interno a diretto contatto con il corpo molle dell’animale, costruito sovrapponendo una dopo l’altra tante lamelle parallele di Aragonite che insieme, pensate un po’, creano quello strato iridescente e spettacolare che conosciamo come madreperla.

Con questa struttura di base poi, si sono differenziate nel tempo le infinite forme che oggi conosciamo e chissà quante altre. Alla nascita ogni piccolo mollusco a guscio inizia a costruirsi un po’ per volta la sua casetta, è un istinto innato, partono da un punto e cominciano la tessitura del loro rifugio. I molluschi con conchiglia singola, pensiamo al murice o ai garagoli, progettano la costruzione partendo dalla parte apicale più esterna, per poi avvolgersi man mano a spirale attorno ad un asse centrale che dall’esterno non riusciamo a vedere. I molluschi bivalvi invece iniziano la costruzione a partire dall’umbone, il punto di adesione delle due valve, depositando un po’ per volta semicerchi concentrici che rispecchino la loro forma e la loro specie di appartenenza, con cui anche noi possiamo riconoscerli più o meno facilmente.

Tutti simili eppure sempre differenti, con un’infinità di modi diversi per adattarsi agli stessi ambienti. Un indefinito numero di forme che si sono andate modificando nel tempo e che l’evoluzione ha portato fino a quelle che oggi possiamo ammirare passeggiando lungo la riva del mare, e che finiranno, inevitabilmente, per infilarsi sotto la pianta dei vostri piedi.

 

Autore: Sofia V. Pesaresi
Autore Foto: Filippo Ioni