Sub Rimini Gian NeriSub Rimini Gian Neri

E Burdell di Viserbella

Ho avuto la fortuna di nascere a Viserbella a 50 metri dalla spiaggia. Fin da piccolissimo sono stato attratto dall’acqua e da quello che accadeva sotto la sua superficie.

A sei anni mio babbo mi regalò la mia prima vera maschera subacquea, fino a quel momento mi ero arrangiato con degli occhialini comprati in uno di tanti negozi di giocattoli che frastagliavano il nostro lungomare.

Gli scogli, o come le chiamavano i nostri vecchi “le dighe” erano la nostra piccola barriera corallina. Ricordo con terrore le ore dopo i pasti, quelle in cui non si poteva fare il bagno per via della famosa “indigestione”!!!

Il mare era il nostro parco giochi…nuotavamo fino alla boa dei 500 metri e ritorno ( per la gioia dei salvataggi che ci dovevano inseguire a remi) andavamo a pescare le cozze, i granchi o le vongole, le attività erano innumerevoli …ma la cosa che mi piaceva di più era osservare questo mondo marino sommerso. Mai mi sarei immaginato che sotto al pelo dell’acqua, attaccati a questi scogli artificiali la vita poteva essere così interessante.

C’erano le battaglie fra i granchi, quelle fra le bavose ( Parablennius Incognitus ) per il controllo della propria tana. C’erano soprattutto ad inizio estate le Seppie ( Sepia Officinalis ), che erano delle vere e proprie campionesse nel mimetizzarsi.

Ricordo quando incominciammo a trovare i primi esemplari di “Lumaconi” ( Rapana Venosa ) che non erano autoctone del nostro fondale .

Ovviamente tutte le nostre esplorazioni erano fatte rigorosamente in apnea, e ricordo che il tempo da passare lì sotto era sempre troppo poco…

Da qui l’idea di avvicinarmi alla subacquea, l’idea di avere un respiratore per passare più tempo sotto la superficie mi affascinava…feci le mie prime esperienze già nei primi anni dell’adolescenza ma poi per un motivo o per una altro mi sono riavvicinato al mondo della subacquea solo 2016, grazie alla A.S.D Sub Rimini Gian Neri.

Ho fatto il corso durante i mesi invernali, poi finalmente con l’arrivo della bella stagione incominciammo le prime esercitazioni in mare. Ricordo come se fosse ora il primo tuffo alle “ Le piramidi “ un vecchio allevamento di cozze che gli istruttori della Gian Neri utilizzano per esercitarsi con i propri allievi.

La giornata non era delle migliori ,c’era il mare un po’ agitato e una fresca brezza da maestrale ricordava a tutti che l’inverno era appena finito. Ma la curiosità di mettere la testa sotto l’acqua per raggiungere il fondale rendevano tutte le nostre piccole avversità superflue.

Ero euforico ma allo stesso agitato, cercavo di fare mente locale di tutte le nozioni preparatorie ripassate i giorni precedenti…ma come dice il proverbio fra il dire e il fare c’era di mezzo proprio lui, il mare. Finita la preparazione mi metto l’erogatore in bocca, faccio segno al mio compagno che è tutto ok e mi butto con una capovolta dal bordo del gommone.

Il contatto con l’acqua, nonostante la muta semistagna è da brividi…mi appresto a fare gli ultimi controlli di superficie, e dopo gli ultimi accorgimenti del mio istruttore incominciamo l’immersione.

I primi secondi sono alquanto stressanti…la visibilità è ridottissima, al massimo un paio di metri e la paura di perdere il mio compagno con il risultato di abortire l’immersione quasi mi fa dimenticare di compensare le orecchie durante la discesa sul fondo.

Mi ritrovo sul fondo prima ancora di poterlo vedere con i miei occhi…cerco di immettere aria nel gav per recuperare l’assetto. Nel frattempo la maschera si allaga e un rivolo di acqua gelida e salata mi entra negli occhi, facendomeli bruciare e limitando ancor di più il mio orientamento.

Per un secondo mi è passato per la testa:” ma chi me l’ha fatto fare?”

Il mio parco giochi dove era finito?

Possibile che i miei ricordi fossero quelli di un bambino che da risalto alle cose che un adulto non riesce a vedere?

Cerco di scacciare questa brutta sensazione…ritrovo l’assetto, svuoto la maschera e cerco di dare al mio compagno una parvenza di calma.

Il mio compagno mi indica una cima da seguire sul fondale, ed entrambi cominciamo a seguire questo filo che si perde in una nuvola marrone che ci circonda.

La muta mi stringe sotto le ascelle e sul petto, l’acqua ha la stessa temperatura di un camparino servito con il ghiaccio, e tutto attorno a me è marrone. L’unica cosa che intravedo sono le pinne gialle del mio compagno che mi procede.

Lo stress sotto l’acqua è una brutta compagnia, continuo a passare lo sguardo fra il computer subacqueo, il manometro e le pinne del mio compagno che inseguo a distanza ravvicinata.

Ad un certo punto raggiungiamo un piccolo scoglio, con la mia torcia subacquea lo illumino sperando invano in un segno di vita. Lo scoglietto ha diversi fori circolari regolari, da uno di questi mi sembrano fuoriuscire un paio di lunghissime antenne.

Nemmeno il tempo di infilare la torcia all’interno che le antenne si “allungano“ e all’uscita del foro fa capolino il carapace di uno splendido Astice (Homarus Gammarus) dalle dimensioni gigantesche! (50/60 cm circa!).

Le chele sono grandissime e anche se la visibilità è molto limitata (eufemismo…) i colori alla luce della torcia sono sgargianti!

Riesco con una mano ad afferrare la pinna del mio compagno e gli mostro questo peso massimo dei crostacei. L’euforia mi pervade , non so quanti minuti siamo rimasti ad osservarlo estasiati.

Ma una cosa mi ricordo perfettamente, tutta l’ansia e lo stress dei minuti precedenti sono spariti lontani anni luce in un secondo.

In attimo rieccomi li’, nel mio parco giochi di quando ero un bambino, ma con l’erogatore in bocca e una scorta d’aria che mi permette di rimanere ad osservare la fauna per tutto il tempo che voglio…o quasi, diciamo fino a che la mia resistenza al freddo me lo consente!

Dopo questo primo avvistamento mozzafiato, l’immersione è continuata alla ricerca di altri animali bentonici che vivono in mezzo agli anfratti di questi scogli sommersi, rivelandoci la presenza di numerosi Gronchi (Conger Conger) che vivono rintanati nei fori artificiali. Ma anche da innumerovoli Schille o gamberetto di porto (Paleomon Elegans).

Raggiungiamo infine la zona dei cosiddetti “castelli“ una struttura tubolare che si innalza diversi metri dal fondale, sopra di noi nuotano placidamente un folto branco di Moletti o Moli (Merlangius Merlngus) di Sugheri (Trachurus trachurus).

Siamo ad una profondità di circa 7/8 metri e la visibilità e piuttosto migliorata rispetto al fondale che si trova qualche metro sotto di noi.

La luce che giunge dalla superficie si riflette sul dorso argenteo dei pesci, se non ci trovassimo sotto la superficie sembrerebbe la coreografia di un balletto organizzato.

Ho perso la condizione del tempo…sono talmente preso da quello che sto guardando che solo i primi brividi di freddo mi riportano alla realtà.

L’immersione è quasi finita e ci apprestiamo a risalire con le dovute soste di sicurezza.

Una volta fuori dall’acqua sono galvanizzato dall’esperienza!

Non solo per quello che ho visto, ma soprattutto per le sensazioni che ho provato… il mio parco giochi era sempre rimasto li ad aspettare e adesso avevo i mezzi per esplorarlo al meglio!

Negli anni successivi ho frequentato altri corsi, e ho avuto la fortuna di fare delle bellissime immersioni in mari più ricchi e affascinanti del nostro dal punto di vista biologico.

Ma la sensazione che avevo provato nelle mie prime esperienze, nonostante tutte le difficoltà che un mare come il nostro può avere nei mesi invernali e primaverili, rimarrà per sempre nella mia memoria e nel mio cuore.

 

Autore: Giorgio Mangianti
Autore Foto: Filippo Ioni