La Mormora un pesce in pigiama

Piano piano il tempo mette al meglio, passeggiando a riva si comincia a vedere un mare sempre più azzurro, il prossimo fine settimana finalmente si porta rientrare in acqua.

Osservo un pescatore, ha appena preso una mormora all’amo. E la mente va alle innumerevoli notturne fatte proprio lì alle scogliere di Viserba. Quante mormore curiose sono state il soggetto dei miei scatti.

La mormora è un pesce molto elegante e signorile, conosciuto anche come marmora, è un pesce d’acqua salata appartenente alla famiglia delle Sparidae, come il dentice ed il sarago.

La mormora ha un aspetto molto particolare, il corpo è ovoidale, la testa è grande e gli occhi sono piccoli, è  munita di denti robusti, con una lunga pinna dorsale. Il colore è grigio argentato, è più chiaro sui fianchi e tiene 12-14 bande verticali più scure, che lo rendono inconfondibile. La pinna dorsale è una sola, dotata di robusti raggi spinosi nella parte anteriore e di raggi molli nella parte posteriore.  La sua lunghezza massima può essere di 40-50 centimetri, con un peso che può raggiungere il chilo e mezzo.

Le mormore si trovano lungo le coste di ogni mare italiano, a 20-30 metri di profondità, vivono in branchi, si nutrono di anellidi, molluschi e crostacei, scovati nella sabbia, e si riproducono in primavera e in estate. Il suo habitat naturale è la sabbia, vive in corrispondenza di spiagge ma non disdegna gli scogli dove ci sono strati di alghe morte.

Sopporta anche l’acqua con bassa salinità, quindi si può trovare anche negli estuari dei fiumi. Diciamo che la mormora è un pesce bonario e tranquillo, non le va a genio la confusione, e se non sente rumori di bagnanti, arriva anche a pochi metri dalla battigia.

Il Mormora vive mediamente dai 10 ai 12 anni: nella prima fase della sua vita tende ad aggregarsi ad altri suoi simili, con i quali forma banchi anche molto numerosi. Con l’avanzare dell’età, però, ogni esemplare si affranca dal proprio banco per condurre un’esistenza più indipendente e solitaria.


Autore Testo e Foto: Filippo Ioni